scritto da Davide Giannella - Master ARS Ludica Rievocativa «Prego mia cara, dopo di voi»
«Oh grazie, come siete gentile Monsieur Dorrin!» sorrise la ragazza. «Come potrei non esserlo con una creatura tanto deliziosa, mademoiselle!» stavolta la ragazza arrossì, abbassò lo sguardo e coprì leggermente la guancia più esposta con una mano fingendo di toccarsi il lobo dell’orecchio. Dorrin con un eloquente gesto del capo la invitò a varcare per prima la soglia del Café des Moutons Noir quindi, mentre la ragazza entrava, la squadrò nuovamente: abito di buona fattura ma con cuciture leggermente lasche, probabilmente donatole da qualche zia ricca e più grassa, portamento educato ma scarpe sgualcite, non poteva essere una nobildonna, una nobildonna piuttosto avrebbe indossato abiti ridotti a pezze ma scarpe nuove. Odorava vagamente di cenere, doveva essere una lavandaia, una donna del popolo; d’altronde si era spinta da sola fino a Rue Morgette e aveva chiesto informazioni a un soffiatore di vetro prima che Gèrome Horace Dorrin, di passaggio, origliando la sua conversazione, si fosse offerto di accompagnarla personalmente al Café: solo nobildonne eccezionali osavano fare tanto in quei bassifondi e, con rispetto parlando, questa ragazza non sembrava proprio una di queste. Entrarono nel Caffè venendo immediatamente investiti da una nuvola di fumo speziato: una grande stanza con alcuni tavoli, quasi tutti occupati o da coppie di persone, lavoratori, o uomini e donne sole, davanti ad un buon bicchiere di alcolico forte, di un caffè nero o di entrambi mischiati insieme, con sguardi persi nel vuoto o fissi su giornali che il Caffè metteva a disposizione. Le pareti erano dipinte con un affresco rappresentante un paesaggio in riva al mare ma il fumo, gli schizzi prodotti da qualche rissa e un bel po’ di umidità, avevano trasformato quel trompe-l’oeil in una sorta di reperto come quelli che ultimamente stavano ritrovando sotto terra, sepolti da anni e anni di detriti, vestigia del passato. «Dovremo superare questa coltre di inespugnabile nebbia mia cara, ma non temete, sarà del tutto innocua per la vostra nobile bellezza. Tuttavia copritevi la bocca, meglio sì. . . avete bisogno di acqua? Di un panno?» Dorrin estrasse un fazzoletto ricamato e lo offrì alla donna che si coprì la bocca reprimendo un accesso di tosse. Ciò confermava la sua osservazione sull’estrazione sociale: mademoiselle non aveva con sé neppure un ventaglio. Superata la prima stanza entrarono in un secondo ambiente separato dal primo con una tenda: era una stanza più piccola, priva di fumo e di tavoli, immersa nella penombra. Le finestre, infatti, erano schermate con delle pesanti tende di cotone verde bottiglia che scendevano ad aggrovigliarsi sul pavimento a scacchi bianchi e neri; delle travi di legno a nudo attraversavano la stanza e sopra di esse dovevano esserci vasi da cui scendevano liane d’edera che a volte sfioravano il pavimento e che venivano riprese da un altro trompe-l’oeil sulla parete di fronte a quella d’accesso, che rappresentava una terrazza sul mare. Al centro della stanza, immersi in quella pensosa luce crepuscolare verdina, c’erano cinque individui che discutevano a voce bassa: in tre erano seduti su delle semplici poltrone di legno, foderate con cuscini di velluto sgualcito, in due, un uomo e una donna, su di un divanetto a due posti, fumavano lentamente. C’erano tre altre poltrone vuote e un tavolo all’incirca al centro delle sedute, scolpito nell’ebano, costituito da uno spesso ripiano poggiato sulla punta delle dita di una gigantesca mano nera che sembrava spuntare dalle viscere della terra. «Mademoiselle, vi presento una parte dei moutons noir, le "pecore nere". Perdonatemi se parlo a voce bassa ma di là stanno dipingendo e non vorrei disturbarli, spero di non offendere il vostro udito.» Ma la ragazza era estasiata e non stava più ascoltando, spostava lo sguardo sui cinque individui seduti con la bocca semi aperta ma era evidente che il suo sguardo era stato attratto da un bagliore argenteo «Se siete venuta fin qui per prendere lezioni dovete già conoscere il nostro stile, e se non lo conoscete ancora ve lo spiegherò io adesso in quanto questo è il nostro manifesto e ciò che noi siamo aderendo a tale manifesto. Noi non ci pieghiamo alla classica arte contemporanea, non seguiamo la moda del nostro secolo, cerchiamo di creare il gusto e non di seguire il gusto, cerchiamo di fare arte, non di accarezzare quella degli altri come si fa con il pelo di un cane o di un gatto, ridefiniamo la concezione di bello facendo in modo che la gente scopra sapori e odori nuovi percepibili con tutti e cinque i sensi e, perché no, anche con l’anima» Dorrin pronunciò con molta enfasi le ultime parole. Poi, dopo una teatrale pausa in cui continuò a fissare l’incredula ragazza al centro della stanza, proseguì «Vi ho convinta? Molto bene, permettetemi allora di presentarvi le Pecore Nere, mademoiselle: o almeno coloro le quali sono qui presenti. Partendo dalle signore, come cavalleria vuole: Priscille Kedouar, l’incantevole dama in giallo che sta leggendo, lei è una scrittrice, ora sta lavorando ad una rivisitazione in chiave realistica della Ballata di Re Ygduth di Avalon, con particolare attenzione alle tecniche di lavorazione dei metalli e alle manovre di combattimento, chiaramente romanzate nell’opera originale.» «Lieta di avervi fra noi, mademoiselle, spero possiate apprezzare ciò che noi facciamo.» disse la scrittrice inclinando lievemente la testa e sollevando lo sguardo dal libro, con un sorriso, accompagnando i lenti movimenti degli occhi scuri e penetranti con nervosi e ritmici movimenti della mano sull’angolo delle pagine. «Sul divanetto invece, la ragazza con il turbante intenta a fumare, è Judith Longalban, è una musicista, suona la cetra, il liuto, la ghironda e lo shofar, un antico corno di montone simile a un flauto. Potreste sottovalutarla con una tal meschina presentazione ma vi assicuro che è la migliore compositrice che io abbia mai ascoltato.» La donna indicata aspirò rapidamente e la sigaretta si accese di rosso «Se mi sottovaluta perché non suono il pianoforte è bene che scelga di uscire pure subito dalle Pecore Nere no, Dorrin? Ma sono certa che mademoiselle invece abbia apprezzato gli strumenti da te elencati e non abbia alcun tipo di pregiudizio, giusto?» si alzò in piedi con un saltello e fece un rapido inchino, poi con un altro saltello si risedette aggiustandosi rapidamente il turbante mentre alcune ciocche di capelli che alla penombra si sarebbero detti del colore del rame, erano fuoriuscite fra le pieghe del tessuto candido. Dorrin sorrise senza emettere alcun suono, con un’espressione compiaciuta e sorniona «E poi veniamo a Ninette Zuriá, lei è un incisore una sperimentale del multi materiale, sta lavorando su bassorilievi a tasselli di rame e legno.» La donna indicata non alzò lo sguardo in segno di saluto ma continuò a muovere freneticamente il carboncino su un taccuino che aveva in grembo «Buongiorno signorina» disse soltanto scostandosi appena dal capo chino la grande massa di capelli biondi e ricci. La nuova ospite del Café des Moutons Noir, però, aveva ormai smesso anche di spostare lo sguardo fra le Pecore Nere. Fissava solo una persona fra quelle sedute e prima che Dorrin riprendesse a presentare qualcun altro trovò il coraggio di parlare, balbettando «M-m-ma-ma voi siete Philippe Lebeque, Main d’Argent? S-s-siete davvero voi?» L’uomo dalle spalle larghe seduto perfettamente composto in una delle poltrone del salottino con la mano d’argento in grembo, intento a discutere con un ometto in cappotto, fazzoletto al collo e baffi ingialliti dal fumo di sigaro, sollevò appena lo sguardo «Sono io, per servirvi mademoiselle. Conoscete la mia opera?» La donna si illuminò «Voi state progettando la Reggia sul Fiume, è così? La residenza del barone Saint-Morèl?» «Sì sono io, mia signora.» «Oh Theus! Mi hanno detto che il vostro lavoro è stupendo, che state costruendo una stanza sull’acqua!» «Già, mademoiselle, una stanza sull’acqua. . . Conoscete piuttosto i miei altri lavori? Il Tempio esastilo in stile pre-syrneth per la Biblioteca delle Arti e dei Mestieri? Il Palazzo del Catasto…nemmeno la Villa pre-syrneth per il Museo di Botanica? Peccato.» Ad un tratto una porta si aprì nel trompe-l’oeil, una sorta di porta segreta a filo muro, e un ragazzo uscì, allegro, imboccando l’uscita per la stanza fumosa. Pochi attimi dopo dalla stessa porta segreta uscì un uomo in vestaglia scura con una corona d’alloro in testa e una donna con alcuni pennelli in mano e grembiule, mani e capelli macchiati di pittura, i due discutevano animatamente: «Così non va, non puoi dipingere un concetto di movimento in un’opera che di per sé è fatta per essere statica. C’è un errore logico, non è una questione di capacità… » «Non esiste errore logico se riesco nel mio intento, August. Vedremo, vedremo». Dorrin scosse appena la ragazza rimasta ancora incantata a fissare Lebeque «Oh mademoiselle guardate! La donna appena comparsa è Fourianne Dalmanette, sarebbe la vostra maestra di pittura! E lui, con la corona è il grande August Boulbarre, un poeta e filosofo che si offre di tanto in tanto di fare da modello per le lezioni di pittura.» Nel frattempo l’uomo con il cappotto che fumava il sigaro si era alzato in piedi «Scusami Dorrin, ma devo tornare al mio lavoro, mademoiselle, sono Diblìk Euppelle e faccio lo scultore, molto lieto.» Al che Dorrin sorrise nuovamente «Sì Diblìk, anch’io dovrei tornare al mio teatro. . . Fourianne, vorrai essere così gentile da mostrare alla nostra signorina che ci è venuta a trovare, il laboratorio di pittura? Benissimo grazie, perdonami se ti distolgo dalla proficua conversazione con August. . . » Appena la porta a scomparsa nel muro si fu chiusa tutti si fecero attenti «Theus, sul serio non distoglieva più lo sguardo da Lebeque. . . qui abbiamo da lavorare. . . hai fatto bene a farmelo notare Diblìk. Comunque, è una popolana, probabilmente una lavandaia: dubito abbia con sé ricchezze, dubito sia una spia dell’Empereur o di qualche aristocratico, non mi sembra troppo sveglia o particolarmente esperta nelle arti recitative. Pertanto non credo sia un pericolo. Se posso dire la mia non credo si rivelerà particolarmente talentuosa in qualche arte…Lebeque, con tutto il rispetto, ma per essere rimasta affascinata da quel tuo obbrobrio sul Fiume. . . deve avere davvero un cattivo gusto. In ogni caso, siamo pur sempre artisti, le insegneremo ciò che sappiamo se lei vorrà. Per quanto riguarda invece l’aspetto finanziario: il furto dei gioielli di madame Welmenne ci ha garantito una buona copertura, abbiamo comprato marmo, tele e soprattutto un paio di pistole e quattro rampini per sostituire quelli spezzati durante il furto a casa del conte Sturtgrass. Dovremmo riuscire a sostituire i grimaldelli smussati di Judith e far riaffilare la spada di Diblìk oltre a prendere una maschera nuova per me. Inoltre dovrebbe restare sufficiente contante per permettere a Lebeque di ultimare un suo progetto di cui vi parleremo a breve e per assicurarci il silenzio di un paio di ricettatori. Le cose vanno a gonfie vele, Pecore Nere!»
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