Vi presentiamo il secondo PG della sessione di CALL of CTHULHU: Nora Brock, Attrice Nora venne dal vecchio continente non molti anni fa. Brock non è neanche il suo vero cognome. Dove nacque non aveva nulla, né denaro, né ambizioni o speranza. Ma l’America è un posto pieno di opportunità, per chiunque. Anche per lei. Giunta senza niente, né soldi né amici, i primi anni di Nora furono un’impresa, e in più di un’occasione fu sul punto di arrendersi e lasciarsi morire in un vicolo. Un colpo di fortuna giunse nella forma di un gangster che prese un debole per lei. Quasi d’un tratto, Nora ebbe un rifugio, denaro, protezione, e le attenzioni di un uomo che l’avrebbe spinta verso il suo destino. Fu infine proprio il suo compagno a proporle una svolta nella sua vita. Col suo appoggio sarebbe potuta essere qualsiasi cosa. Cosa sognava di fare? Forse fu un momento di genuina emozione infantile che la portarono a rispondere «Attrice». Fatto sta che Nora aveva talento. Non fu facile, e insistette lei stessa per prendere classi e lezioni, ma pochi mesi dopo nacque Nora Brock. Dopo alcune piccole parti minori, e una come protagonista in uno show di un vecchio teatro, Nora ha ricevuto un invito ad un’audizione che potrebbe rappresentare il passo successivo. Ed è con questa intenzione che, dopo insistenti discussioni per fare il viaggio da sola, Nora sale su un autobus per Boston.
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Vi presentiamo il primo PG della sessione di CALL of CTHULHU Harmon Firske, Detective Privato Veterano della Grande Guerra e in seguito poliziotto fallito, Harmon è un uomo che non ha più pazienza per i convenevoli della vita. Superficialmente sembra essere un rude, indifferente, cinico alcolizzato, e chi lo conosce sa che è tutte queste cose, ma dentro di lui nasconde ancora una scintilla di vita, il desiderio di fare del bene, e la speranza di esserne ancora in grado. Ormai un investigatore privato da anni, si mantiene con lavori che pagano giusto il necessario per l’affitto del suo ufficio (dove mangia e dorme), tra i pochi contatti in polizia che non ha ancora bruciato e una discreta reputazione nei bassifondi di Boston. Di tanto in tanto, gli tocca allontanarsi dalla città per una indagine, quando gli tocca inseguire le tracce di un’amante o una figlia scappata di casa. Così è stato per l’ultimo lavoro, in ogni caso. Ora non tocca che tornare a Boston per intascare il pagamento. È con questa intenzione che Harmon sale sull’autobus per Boston. Chi se la può permettere un’auto di questi tempi? Lui sicuramente no. Ecco a voi tutti il primo post di approfondimento riguardo la prossima sessione Drink&Play:
L’AMBIENTAZIONE Call of Cthulhu è un gioco di ruolo ambientato nel mondo degli orrori di Lovecraft, dove antiche entità al di là della comprensione umana giacciono in attesa di tornare e impadronirsi di ciò che è sempre stato loro. L’ambientazione prende luogo negli anni del 1920, una decade ancora traviata dai recenti eventi della Grande Guerra, marchiata dal proibizionismo americano e dalla corsa all’oro di artefatti dalle civiltà dimenticate, con ambiziosi esploratori in cerca di segreti che sarebbe stato meglio lasciare sepolti per sempre. Tra rivelazioni oscure in grado di cambiare ogni cosa, mostri che trascendono ogni definizione e intrighi incomprensibilmente antichi, gli Investigatori dovranno fare i conti con misteri che spezzeranno l’illusione di ciò che considerano realtà, a prezzo della loro vita o della loro mente. Comunichiamo che le altre 3 date della Campagna di Memento Mori si terranno nei giorni:
Se ci sono nuovi player che vogliono inserirsi nella Campagna, potranno farlo tranquillamente contattando Borace Giuseppe o Manta Stefano. Staff di ARS Ludica Rievocativa Come ARS Ludica Rievocativa siamo orgogliosi di presentarvi il prossimo evento Drink & Play.
Per l' occasione abbiamo deciso di proporvi una giocata per CALL OF CTHULHU. Non è morto ciò che può vivere in eterno, e in strani eoni anche la morte può morire. Non è soltanto una bella frase con cui aprire il nostro prossimo evento Drink&Play, ma anche una delle citazioni più emblematiche dell'opera di H. P. Lovecraft: riassume tutta la lacerazione dell'ambientazione del gdr, l'impossibilità di distinguere tra la verità e l'illusione, la contraddizione di tutte le cose, e un'oscurità minacciosa che arriva da lontano. Scritta ed ideata dal nostro Master Marco Falco. articolo di Francesco Maria Tiberio Il giorno martedì 6 marzo, nella splendida cornice del TnT tap'n'table che ci ha ospitato, ha avuto luogo l'evento drink and play di 7th Sea. Ovvero un gioco di ruolo da tavolo dall'atmosfera settecentesca del periodo coloniale ambientato nel mondo di Théah, che parla di intrighi, di pirati e di duellanti. In particolare la giocata in questione, ideata e scritta magistralmente dal master Davide Doc, narra dell'ampliamento della villa del barone Germane Sallusse Courbent de Saint-Morel. Il barone, in quanto eletto primo portabandiera ufficiale alla parata del solstizio d'estate, voleva festeggiare ampliando la propria reggia. Ma purtroppo, essendo già troppo grande e vasta, lo spazio scarseggiava. Da una parte c'era un fitto bosco che per via delle numerose sessioni di caccia piaceva troppo al barone per abbatterlo, ma dall'altra c'era il fiume Laurent. Nessuno degli architetti aristocratici che frequentava seppe trovare una soluzione al suo problema. Solamente Philippe Lebeque, detto main d'argent a causa di un mano d'argento che aveva, era riuscito a risolverlo progettando un corpo gemello alla reggia al di là del fiume e unendo i due con il "Salòn Privè", una stanza collegata da 4 camminamenti coperti e accessibile solo dall'interno. Lebeque faceva anche parte di un organizzazione di artisti e letterati chiamata "Moutons Neur" (pecore nere), ed avevano un café dove tra fumo e alcool si dilettavano in ogni tipo di arte. Non seguire la massa, non seguire l'arte contemporanea e ridefinire la concezione del bello, erano gli obbiettivi principali delle Pecore Nere. Ma come già suggerisce il nome, non erano certo degli agnellini. La sera il barone avrebbe fatto una festa d'innaugurazione per la nuova ala e Lebeque aveva già un piano su come infiltrarsi e svaligiare la reggia, in quanto tutti i tesori sarebbero stati esposti in bella vista nel salone. Grazie alla furto e alla vendita di alcuni gioielli, le Pecore Nere avevano comprato tutto l'occorrente per svaligiarla: pistole, rampini, grimaldelli, maschere, ecc... I membri della banda erano molto variegati: potevano contare su Judith Longalban, ottima musicista di shofar ma sfigatissima ladra e acrobata; Priscille Kedouar, scrittice e spadaccina professionista; Ninette Zurià, scultrice e scassinatrice; Fourianne Dalmette, pittrice e cecchina nel tempo libero; August Boulbarre, poeta e musa di Fourianne; Diblik Euppele, scultore e combattente. Dopo essersi mascherati a dovere, quella sera il gruppo di recò alla villa ma rimase sbigottito dal vedere un tale spiegamento di guardie e cannoni. Il piano era di mettere delle cariche esplosive sotto il salone mobile, per poi scappare via fiume con esso. Dopo che furono saliti al primo piano passando da una scaletta sul retro, Juditte si nascose nell'ombra aspettando una guardia di ronda che non tardò ad essere subito dopo spedita nel mondo dei sogni. Nello stesso momento, Priscille e Diblik misero fuori combattimento altre due guardie li vicino. Dopo aver ripulito il piano, le Pecore Nere proseguirono fino ad arrivare in quello che probabilmente era lo studio del barone. Non fecero nemmeno in tempo a controllare nei paraggi che da dietro l'angolo due figure ammantate, un uomo che aveva la voce di una donna e una donna che aveva la voce di un uomo, si lanciarono contro i nostri eroi. Lo scontro fu molto concitato: i proiettili trapassavano l'aria e le spade scintillavano al chiarore della luna. Quando ad un certo punto si udì il rumore di esplosione... "Le cariche!" pensarono le Pecore Nere, e senza perdere un altro istante si precipitarono nel salone. Le guardie rimaste, appena sentirono l'esplosione e videro la stanza iniziare ad allontanasi, andarono subito sul tetto per manovrare i cannoni. Ormai alle corde, il gruppo decise che l'unica cosa da fare era rispondere al fuoco con il fuoco, e quindi salirono anche loro sul tetto. La situazione era tragica: da una parte le guardie continuavano a sparare all'impazzata, colpendo e distruggendo pezzi del tetto e delle pareti del salone; dall'altra invece mentre August cercava di "manovrare" quella strana imbarcazione, Priscilla e Diblik rispondevano al fuoco nemico. Tanta polvere da sparo dopo, mentre si allontanavano sempre di più dalla reggia, le Pecore Nere poterono finalmente tirare un sospiro di sollievo in quanto si trovavano sopra al più grande tesoro che avessero mai visto. scritto da Davide Giannella - Master ARS Ludica Rievocativa «Prego mia cara, dopo di voi»
«Oh grazie, come siete gentile Monsieur Dorrin!» sorrise la ragazza. «Come potrei non esserlo con una creatura tanto deliziosa, mademoiselle!» stavolta la ragazza arrossì, abbassò lo sguardo e coprì leggermente la guancia più esposta con una mano fingendo di toccarsi il lobo dell’orecchio. Dorrin con un eloquente gesto del capo la invitò a varcare per prima la soglia del Café des Moutons Noir quindi, mentre la ragazza entrava, la squadrò nuovamente: abito di buona fattura ma con cuciture leggermente lasche, probabilmente donatole da qualche zia ricca e più grassa, portamento educato ma scarpe sgualcite, non poteva essere una nobildonna, una nobildonna piuttosto avrebbe indossato abiti ridotti a pezze ma scarpe nuove. Odorava vagamente di cenere, doveva essere una lavandaia, una donna del popolo; d’altronde si era spinta da sola fino a Rue Morgette e aveva chiesto informazioni a un soffiatore di vetro prima che Gèrome Horace Dorrin, di passaggio, origliando la sua conversazione, si fosse offerto di accompagnarla personalmente al Café: solo nobildonne eccezionali osavano fare tanto in quei bassifondi e, con rispetto parlando, questa ragazza non sembrava proprio una di queste. Entrarono nel Caffè venendo immediatamente investiti da una nuvola di fumo speziato: una grande stanza con alcuni tavoli, quasi tutti occupati o da coppie di persone, lavoratori, o uomini e donne sole, davanti ad un buon bicchiere di alcolico forte, di un caffè nero o di entrambi mischiati insieme, con sguardi persi nel vuoto o fissi su giornali che il Caffè metteva a disposizione. Le pareti erano dipinte con un affresco rappresentante un paesaggio in riva al mare ma il fumo, gli schizzi prodotti da qualche rissa e un bel po’ di umidità, avevano trasformato quel trompe-l’oeil in una sorta di reperto come quelli che ultimamente stavano ritrovando sotto terra, sepolti da anni e anni di detriti, vestigia del passato. «Dovremo superare questa coltre di inespugnabile nebbia mia cara, ma non temete, sarà del tutto innocua per la vostra nobile bellezza. Tuttavia copritevi la bocca, meglio sì. . . avete bisogno di acqua? Di un panno?» Dorrin estrasse un fazzoletto ricamato e lo offrì alla donna che si coprì la bocca reprimendo un accesso di tosse. Ciò confermava la sua osservazione sull’estrazione sociale: mademoiselle non aveva con sé neppure un ventaglio. Superata la prima stanza entrarono in un secondo ambiente separato dal primo con una tenda: era una stanza più piccola, priva di fumo e di tavoli, immersa nella penombra. Le finestre, infatti, erano schermate con delle pesanti tende di cotone verde bottiglia che scendevano ad aggrovigliarsi sul pavimento a scacchi bianchi e neri; delle travi di legno a nudo attraversavano la stanza e sopra di esse dovevano esserci vasi da cui scendevano liane d’edera che a volte sfioravano il pavimento e che venivano riprese da un altro trompe-l’oeil sulla parete di fronte a quella d’accesso, che rappresentava una terrazza sul mare. Al centro della stanza, immersi in quella pensosa luce crepuscolare verdina, c’erano cinque individui che discutevano a voce bassa: in tre erano seduti su delle semplici poltrone di legno, foderate con cuscini di velluto sgualcito, in due, un uomo e una donna, su di un divanetto a due posti, fumavano lentamente. C’erano tre altre poltrone vuote e un tavolo all’incirca al centro delle sedute, scolpito nell’ebano, costituito da uno spesso ripiano poggiato sulla punta delle dita di una gigantesca mano nera che sembrava spuntare dalle viscere della terra. «Mademoiselle, vi presento una parte dei moutons noir, le "pecore nere". Perdonatemi se parlo a voce bassa ma di là stanno dipingendo e non vorrei disturbarli, spero di non offendere il vostro udito.» Ma la ragazza era estasiata e non stava più ascoltando, spostava lo sguardo sui cinque individui seduti con la bocca semi aperta ma era evidente che il suo sguardo era stato attratto da un bagliore argenteo «Se siete venuta fin qui per prendere lezioni dovete già conoscere il nostro stile, e se non lo conoscete ancora ve lo spiegherò io adesso in quanto questo è il nostro manifesto e ciò che noi siamo aderendo a tale manifesto. Noi non ci pieghiamo alla classica arte contemporanea, non seguiamo la moda del nostro secolo, cerchiamo di creare il gusto e non di seguire il gusto, cerchiamo di fare arte, non di accarezzare quella degli altri come si fa con il pelo di un cane o di un gatto, ridefiniamo la concezione di bello facendo in modo che la gente scopra sapori e odori nuovi percepibili con tutti e cinque i sensi e, perché no, anche con l’anima» Dorrin pronunciò con molta enfasi le ultime parole. Poi, dopo una teatrale pausa in cui continuò a fissare l’incredula ragazza al centro della stanza, proseguì «Vi ho convinta? Molto bene, permettetemi allora di presentarvi le Pecore Nere, mademoiselle: o almeno coloro le quali sono qui presenti. Partendo dalle signore, come cavalleria vuole: Priscille Kedouar, l’incantevole dama in giallo che sta leggendo, lei è una scrittrice, ora sta lavorando ad una rivisitazione in chiave realistica della Ballata di Re Ygduth di Avalon, con particolare attenzione alle tecniche di lavorazione dei metalli e alle manovre di combattimento, chiaramente romanzate nell’opera originale.» «Lieta di avervi fra noi, mademoiselle, spero possiate apprezzare ciò che noi facciamo.» disse la scrittrice inclinando lievemente la testa e sollevando lo sguardo dal libro, con un sorriso, accompagnando i lenti movimenti degli occhi scuri e penetranti con nervosi e ritmici movimenti della mano sull’angolo delle pagine. «Sul divanetto invece, la ragazza con il turbante intenta a fumare, è Judith Longalban, è una musicista, suona la cetra, il liuto, la ghironda e lo shofar, un antico corno di montone simile a un flauto. Potreste sottovalutarla con una tal meschina presentazione ma vi assicuro che è la migliore compositrice che io abbia mai ascoltato.» La donna indicata aspirò rapidamente e la sigaretta si accese di rosso «Se mi sottovaluta perché non suono il pianoforte è bene che scelga di uscire pure subito dalle Pecore Nere no, Dorrin? Ma sono certa che mademoiselle invece abbia apprezzato gli strumenti da te elencati e non abbia alcun tipo di pregiudizio, giusto?» si alzò in piedi con un saltello e fece un rapido inchino, poi con un altro saltello si risedette aggiustandosi rapidamente il turbante mentre alcune ciocche di capelli che alla penombra si sarebbero detti del colore del rame, erano fuoriuscite fra le pieghe del tessuto candido. Dorrin sorrise senza emettere alcun suono, con un’espressione compiaciuta e sorniona «E poi veniamo a Ninette Zuriá, lei è un incisore una sperimentale del multi materiale, sta lavorando su bassorilievi a tasselli di rame e legno.» La donna indicata non alzò lo sguardo in segno di saluto ma continuò a muovere freneticamente il carboncino su un taccuino che aveva in grembo «Buongiorno signorina» disse soltanto scostandosi appena dal capo chino la grande massa di capelli biondi e ricci. La nuova ospite del Café des Moutons Noir, però, aveva ormai smesso anche di spostare lo sguardo fra le Pecore Nere. Fissava solo una persona fra quelle sedute e prima che Dorrin riprendesse a presentare qualcun altro trovò il coraggio di parlare, balbettando «M-m-ma-ma voi siete Philippe Lebeque, Main d’Argent? S-s-siete davvero voi?» L’uomo dalle spalle larghe seduto perfettamente composto in una delle poltrone del salottino con la mano d’argento in grembo, intento a discutere con un ometto in cappotto, fazzoletto al collo e baffi ingialliti dal fumo di sigaro, sollevò appena lo sguardo «Sono io, per servirvi mademoiselle. Conoscete la mia opera?» La donna si illuminò «Voi state progettando la Reggia sul Fiume, è così? La residenza del barone Saint-Morèl?» «Sì sono io, mia signora.» «Oh Theus! Mi hanno detto che il vostro lavoro è stupendo, che state costruendo una stanza sull’acqua!» «Già, mademoiselle, una stanza sull’acqua. . . Conoscete piuttosto i miei altri lavori? Il Tempio esastilo in stile pre-syrneth per la Biblioteca delle Arti e dei Mestieri? Il Palazzo del Catasto…nemmeno la Villa pre-syrneth per il Museo di Botanica? Peccato.» Ad un tratto una porta si aprì nel trompe-l’oeil, una sorta di porta segreta a filo muro, e un ragazzo uscì, allegro, imboccando l’uscita per la stanza fumosa. Pochi attimi dopo dalla stessa porta segreta uscì un uomo in vestaglia scura con una corona d’alloro in testa e una donna con alcuni pennelli in mano e grembiule, mani e capelli macchiati di pittura, i due discutevano animatamente: «Così non va, non puoi dipingere un concetto di movimento in un’opera che di per sé è fatta per essere statica. C’è un errore logico, non è una questione di capacità… » «Non esiste errore logico se riesco nel mio intento, August. Vedremo, vedremo». Dorrin scosse appena la ragazza rimasta ancora incantata a fissare Lebeque «Oh mademoiselle guardate! La donna appena comparsa è Fourianne Dalmanette, sarebbe la vostra maestra di pittura! E lui, con la corona è il grande August Boulbarre, un poeta e filosofo che si offre di tanto in tanto di fare da modello per le lezioni di pittura.» Nel frattempo l’uomo con il cappotto che fumava il sigaro si era alzato in piedi «Scusami Dorrin, ma devo tornare al mio lavoro, mademoiselle, sono Diblìk Euppelle e faccio lo scultore, molto lieto.» Al che Dorrin sorrise nuovamente «Sì Diblìk, anch’io dovrei tornare al mio teatro. . . Fourianne, vorrai essere così gentile da mostrare alla nostra signorina che ci è venuta a trovare, il laboratorio di pittura? Benissimo grazie, perdonami se ti distolgo dalla proficua conversazione con August. . . » Appena la porta a scomparsa nel muro si fu chiusa tutti si fecero attenti «Theus, sul serio non distoglieva più lo sguardo da Lebeque. . . qui abbiamo da lavorare. . . hai fatto bene a farmelo notare Diblìk. Comunque, è una popolana, probabilmente una lavandaia: dubito abbia con sé ricchezze, dubito sia una spia dell’Empereur o di qualche aristocratico, non mi sembra troppo sveglia o particolarmente esperta nelle arti recitative. Pertanto non credo sia un pericolo. Se posso dire la mia non credo si rivelerà particolarmente talentuosa in qualche arte…Lebeque, con tutto il rispetto, ma per essere rimasta affascinata da quel tuo obbrobrio sul Fiume. . . deve avere davvero un cattivo gusto. In ogni caso, siamo pur sempre artisti, le insegneremo ciò che sappiamo se lei vorrà. Per quanto riguarda invece l’aspetto finanziario: il furto dei gioielli di madame Welmenne ci ha garantito una buona copertura, abbiamo comprato marmo, tele e soprattutto un paio di pistole e quattro rampini per sostituire quelli spezzati durante il furto a casa del conte Sturtgrass. Dovremmo riuscire a sostituire i grimaldelli smussati di Judith e far riaffilare la spada di Diblìk oltre a prendere una maschera nuova per me. Inoltre dovrebbe restare sufficiente contante per permettere a Lebeque di ultimare un suo progetto di cui vi parleremo a breve e per assicurarci il silenzio di un paio di ricettatori. Le cose vanno a gonfie vele, Pecore Nere!» scritto da Davide Giannella - Master ARS Ludica Rievocativa «Mio caro Lebeque, hai fatto davvero uno splendido lavoro. . .» lo sguardo del barone Germane Sallusse Courbent de Saint-Morèl, da dieci anni, quattro mesi e due giorni Primo Portabandiera Ufficiale dell’Empereur alla Parata del Solstizio d’Estate, era perso nel vuoto, sognante: vagava fra i boschi di querce del parco, sfiorava l’erba tagliata di fresco, seguiva le lievi increspature delle acque del fiume Laurent; poi ogni tanto, improvvisamente, gli occhi si facevano fessure, attenti e penetranti, e lo sguardo scendeva rapace sulle geometrie della struttura: sembrava che improvvisamente un pragmatismo aristocratico si impossessasse del barone, un brivido di potere e voluttà e un istinto da avaro scoiattolo che ha appena nascosto più provviste degli altri scoiattoli nella sua cavità arborea. Stavolta gli occhi si muovevano rapidi lungo ogni curva, ogni spigolo, ogni punta della nuova ala della Reggia e le mani morbide e abituate all’ozio, si stringevano fino a sbiancare le nocche sul parapetto della terrazza principale del Palais de Courbent Saint-Morèl, la Reggia sul Fiume. Philippe Louis Lebeque, l’Architetto, era accanto al barone da quella mattina: era stata richiesta la sua presenza come accompagnatore nella passeggiata quotidiana del nobile, un grande onore a cui non si poteva opporre rifiuto e insieme avevano camminato per un numero imprecisato di ore salvo soste in cui si ripetevano quelle scene di contemplazione sognante e attenta al tempo stesso.
«Sai Lebeque, non credevo.» «Cosa non credevate, vostra grazia?» «Non credevo nelle potenzialità artistiche della mia Reggia. Non credevo sarebbe potuta diventare così. . . magnifica e imponente. Un monito. Si dice così, no?» «Perché no, vostra grazia, perché no. . . » «A casa mia dico ciò che voglio vero Lebeque?» «É un vostro diritto, vostra grazia.» l’Architetto era immobile, diritto e quieto, non era a suo agio ma non lo mostrava, persino il volto era disteso, gli occhi socchiusi. «Sai Lebeque, ero scettico. Ero molto scettico. Sulle potenzialità artistiche di questa mia Reggia. Quei giganti lì in pietra sono perfetti, la lamina d’oro dei cornicioni, l’imponenza della pietra bianca scolpita fino al millimetro da mastri scalpellini scelti accuratamente, il legno dorato, la foglia d’oro a ricoprire ogni cosa. . . magnifico. Di gran gusto. Cambio argomento, ma voi frequentate ancora ogni tanto quegli artisti lì. . . le pecore nere?» «Vi ringrazio, vostra grazia. Sono un vostro servitore. Se vi riferite al Café des Moutons Noir, sì, talvolta. Si discute d’arte, di letteratura, ci si confronta. É sempre fondamentale confrontarsi anche solo per scoprir d’essere di parte opposta.» stavolta l’Architetto irrigidì appena la mandibola, il barone non aveva "cambiato argomento". Era proprio quello il fuoco del discorso: si stava evidentemente chiedendo come avesse fatto un affiliato al Caffè delle Pecore Nere,notoriamente dissidenti della scena artistica e letteraria contemporanea, ad aver partorito una Reggia così pienamente in gusto e stile "contemporaneo". Quando dieci anni prima il barone aveva commissionato l’espansione della sua casa di campagna, dopo la promozione a Primo Portabandiera Ufficiale dell’Empereur, Philippe Lebeque non era stato affatto fra i primi ad essere contattati. Tuttavia nessuno degli architetti aristocratici montaigne era riuscito a risolvere il problema sostanziale del Palazzo: questo secondo direttive del barone doveva essere sviluppato in lunghezza e non doveva affatto avere corpi separati per non spezzare inutilmente l’imponenza della struttura, tuttavia la Reggia era originariamente delimitata sul lato sud-ovest dal bosco che non poteva essere ridotto per necessità di caccia, una delle passioni del nobile, e dall’altro lato, quello nord-est, dal fiume Laurent. Solamente Lebeque, contattato dopo innumerevoli altri rifiuti, era riuscito a risolvere il problema, progettando un corpo gemello alla Reggia al di là del fiume e raccordando i due, il vecchio e il nuovo, con il Salon Privé. «E poi lo ammetto, Lebeque. Con il Salon Privé ti sei davvero superato. Non credevo.» Sitrattava di una grande sala, sviluppata su due piani, un salone per feste, costruito in modo da affiorare dall’acqua del fiume: l’intera stanza, in stile simile a quello del resto della villa, emergeva dal fiume grazie a sei imponenti pilastri mascherati da sculture a foggia di giganti contorti dallo sforzo sovrumano di sorreggere il peso dell’intera struttura. Il Salon era a sua volta collegato ai due corpi gemelli della Reggia da quattro camminamenti coperti, due per lato, dei tunnel porticati in legno e pietra che simili a ponti facevano in modo che il Salone Privato fosse raggiungibile direttamente dall’interno del Palazzo che risultava così effettivamente un tutt’uno. La struttura era quindi altamente simmetrica, due corpi gemelli incernierati dal Salone sull’acqua. Eppure era eccessiva, pacchiana, piena di inutili fronzoli. . . «E tu sei soddisfatto del tuo lavoro Lebeque?» chiese il barone: ora i suoi occhi erano molto attenti e scrutavano quelli dell’Architetto. Philippe Lebeque, detto Main d’Argent si grattò una guancia con la protesi d’argento leggero che sostituiva la sua mano destra, dopo aver articolato le dita finte in una posizione consona utilizzando l’altra mano; si voltò verso il barone ergendosi in tutta la sua possente e massiccia figura: «Sono molto soddisfatto, vostra grazia ma la vostra Reggia già offriva tutti gli elementi necessari. Come dite bene voi, la villa aveva del potenziale artistico, io ho solo permesso che questo potenziale scavalcasse il fiume.» ovviamente non era vero. Il barone Germane Sallusse Courbent de Saint-Morèl sorrise compiaciuto e riprese a far vagare il suo sguardo nel vuoto «Hai fatto bene il tuo mestiere Lebeque.» Lebeque non rispose ma si sporse verso il basso: erano su una delle due enormi terrazze che sormontavano il tetto dei due corpi gemelli della Reggia; dalla posizione in cui erano, vicini al parapetto, si vedeva per bene il Salon Privé affiorante dall’acqua con i suoi balconi intarsiati, le sculture, le sue decorazioni, quel gusto barocco che lui tanto odiava . . . eppure. . . si scostò una ciocca dei lunghi capelli grigi dal volto con la mano d’argento: aveva fatto un ottimo lavoro, il barone non sospettava nulla. Non era stato facile venire meno al proprio stile, assecondare il committente così passivamente, non lasciare spazio alla propria arte in nulla ed elaborarne una di così cattivo gusto che sarebbe rimasta associata al suo nome. Ma non aveva avuto scelta, il barone aveva supervisionato i lavori ogni giorno, aveva scelto in autonomia gli operai, i venditori di materiali, i decoratori e le varie maestranze: Lebeque aveva dovuto guadagnarsi la sua fiducia senza destare il minimo sospetto. Fortunatamente era stato rispettato il principio fondamentale: un solo Architetto alla progettazione. Portò le braccia dietro la schiena e incastrò il polso sinistro fra palmo e dita semichiuse della finta mano destra «Darete una festa suppongo, vostra grazia. Per l’inaugurazione?» «Sì certo. Ma dovrò portare dei cannoni qui sulle terrazze e dovrò essere certo di poter contare su tutto il mio corpo di guardia, però. » «Addirittura vostra grazia? Dei cannoni?» poi con noncuranza «Ah sapete? Credo che voi siate l’unico dell’aristocrazia della zona, e non escludo di tutta Montaigne, se non anche di Théah ad avere una stanza sull’acqua.» Gli occhi del barone tornarono a farsi attenti e ad accarezzare le decorazioni della sua Reggia «É così Lebeque? Io stavo anche pensando di organizzare la festa di inaugurazione nel Salon. . . è sufficientemente grande e soprattutto c’è già tutto lo spazio necessario per poter esporre i miei preziosi.» certo che c’era già lo spazio necessario! Lebeque aveva integrato nicchie, armadi, ganci... il Salon Privé aveva tutte le caratteristiche per diventare il serraglio di tesori di un barone ambizioso di mostrarli al resto dell’aristocrazia. Come tutti i nobili montaigne. . .A un certo punto il barone distolse quasi improvvisamente lo sguardo e si voltò «Mia cara!» Anche Lebeque si girò di scatto, aveva avuto la sensazione di essere osservato per tutto il tempo. Si irrigidì lievemente: una donna, in sontuosi abiti scuri e un velo sul volto, era comparsa sulla terrazza e si era avvicinata alle loro spalle senza dire una parola, aveva solo disteso un braccio e il barone di Saint-Morèl aveva delicatamente afferrato la punta della sua mano coperta da un lungo guanto ed effettuato un signorile baciamano. Un medaglione che raffigurava un sole, probabilmente in oro rosso, sfolgorava al collo della donna riflettendo la fredda luce del giorno invernale: era quasi incredibile come si abbinassero magnificamente la freddezza dei colori e dei modi della dama al calore pulsante di quel ciondolo. . . Poi i due si erano presi a braccetto, in silenzio, e si erano allontanati lungo la terrazza «Ah Lebeque, conto di fare una dimostrazione per l’Inaugurazione, entreranno i vari strumenti, vero?» «Certo, vostra grazia, entrerà tutto.» rispose l’Architetto alla schiena del barone che si allontanava. Quella donna velata. . . sperava non sarebbe diventata un problema. Mentre pensava ciò, l’Architetto Philippe Lebeque, Main d’Argent si rese conto che la donna si era voltata e attraverso il velo lo stava fissando. |
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